L'attimo fuggente


 L'attimo fuggente
Ci sono attimi della nostra vita che abbiamo lasciato sfuggire senza renderci conto o senza fare niente per fermarli, per concretizzare.
Chi non si ricorda quella volta quando si trovò davanti a quella persona così bella, così attraente… Quell'attimo in cui è salito dal cuore verso la gola la voglia di salutarla, di parlargli, di fermare quell'attimo per chiedergli come si chiama, per conoscerla… E ci lasciamo sfuggire il momento, lasciamo passare l'opportunità, e ancora oggi ci domandiamo perché non siamo stati più impulsivi, meno formali.
Chi non ricorda con rammarico quella volta che hanno chiesto: C'è qualcuno che si la sente di farlo? E noi siamo rimasti inchiodati in un mare di dubbi e incertezze senza alzare la mano per proporci…O quella possibilità di cambiare di lavoro per iniziare un’attività diversa, più consone con i nostri desideri… Non abbiamo fatto niente e oggi ci chiediamo cosa sarebbe successo si avessimo avuto più coraggio, più spinta.
E quel viaggio che volevamo fare, e che per un motivo o un altro abbiamo posticipato aspettando tempi migliori?
E quella volta che volevamo dire: Basta! Ma siamo rimasti di bocca chiusa per timore al confronto o a cambiamenti futuri?.
L’attimo fuggente lascia sempre un sapore metallico in bocca, una registro vuoto nel cuore che piano piano scende alla pancia, e la sensazione di che è improbabile che nel futuro si ripeta, anche se noi continueremo ad aspettarlo...
Con gli attimi fuggenti non si costruisce una vita, no si organizza un percorso, non si stabilisce un futuro, non si cambia niente. 
E la cosa buffa, è che questo atteggiamento pacato, di apparente riflessione, di prudenza, e quello che ci insegnano già da piccolo nella scuola; E crescendo capisci, che è meglio “adeguarsi”, “giocare” con le regole che il sistema impone; così, potrai stare meglio e talvolta riuscire a migliorare, o trovare quello che cercavi; e sai che non sarai soddisfatto e contento al cento per cento, ma, almeno in parte ci avrai riuscito…
La società attraverso i media e la pubblicità ti fa notare chi sono gli eroi, i coraggiosi, i temerari, i vittoriosi… e con le sue regole, la sua morale, ti fa restare nelle filiere di quelli che devono aspettare senza rompere mai la fila... e mentre aspetti il tuo turno, che ci concedano il tuo spazio, dal fondo della tua coscienza una vocina sommersa, piccina piccina, ti dice: non c'è la farai mai…
Questo atteggiamento sociale indotto con molta intelligenza, o subdola stupidità direi io, fa che davanti a tutte le situazione di violenza che soffriamo o vediamo soffrire a chi ci sta vicino, noi non reagiamo; Davanti a una situazione di violenza, “lasciamo stare”; Può essere un uomo che sgrida o spinge una donna nel marciapiede; o un adulto che schiaffeggia pesantemente un bambino per strada; o una vecchietta che viene ingannata dal fruttivendolo al ricevere il resto; o la guardia giurata che con toni bruschi indica cosa dobbiamo fare, come dobbiamo comportarci; o il dipendente pubblico che risponde a una nostra richiesta senza nessuna voglia, come facendoci un favore; e tanti e tanti altre situazioni di violenza fisica, economica, psicologica, di genere, morale, ecc. 
Siamo arrivati al punto di ignorare chi è per terra nel cortile del condominio... O chi chiede aiuto a squarcia gola... O il vicino che sappiamo che non la sta passando bene e che a malapena ha da mangiare…
Per Bacco! Anche in tutte queste situazione lasciamo scappare quell'attimo fuggente… Come? ti chiederai… E si!: ci lasciamo scappare quella possibilità di fare qualcosa de diverso nella nostra vita, qualcosa che può costruire qualcosa nel futuro, qualcosa che rompe i canoni dello stabilito offrendo una risposta diversa, solidale, umana. E il peggio, è che lasci scappare la possibilità di essere felice! 
Quando riesci a superare le tue barriere inibitorie, quando prendi quel attimo al volo e fai quello che deve essere fatto, ti senti un eroi! Sei felice! Sei orgoglioso di te e ti senti un elemento attivo e importante della società!
Vedi perché parlo di non lasciare scappare quegli attimi fuggenti?...perché perdiamo l'opportunità di stare bene, di crescere, di sentirci importanti in una società che dipinge tutto di grigio: fra le normative, le libertà comandata e il consenso fasullo.
La prossima volta che vedi qualcuno che piange per strada fatti coraggio a chiedergli cosa le succede; Quando vedi qualcuno caduto per terra, vai a vedere si sta bene, si ha bisogno di aiuto; Quando per strada o sull'autobus vedi qualcuno che è oggetto di bullismo o di violenza, fa qualcosa: non fai l'eroe di fumetto rischiando la pelle, ma chiama altre persone in aiuto, telefona alla polizia; Si puoi offrire un paio d’ore alla settimana per sostenere altre persone, facendole compagnia, aiutandole con le spesse, o come volontario in una associazione, fallo! 
Tutto questo fa parte della normalità in una società civile, solidale e nonviolenta.
Non permettere che queste cose non accadano a te.
Non lasci scappare l’attimo fuggente! Si felice! Sì umano!

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El momento fugaz

En nuestra vida, hay momentos que dejamos escapar sin darnos cuenta, sin hacer nada para detenerlos, para materializarlos.
Quién no recuerda ese momento, ese instante, en que nos encontramos frente a esa persona tan hermosa, tan atractiva… ese instante en que surgio el deseo de saludarla, de hablarle, de congelar ese momento en el tiempo para preguntarle su nombre, paraconocerla… y dejamos pasar ese instante, dejamos pasar esa oportunidad... y aún hoy nos preguntamos por qué no hemos sido más impulsivos, menos formales...
Quién no recuerda con pesar aquella vez que preguntaron: ¿Hay alguien que tenga ganas de hacer esto? … y nos metimos en un mar de dudas e incertidumbres sin levantar la mano para proponernos, sintiendo que queriamos hacerlo y que eramos capaces… O esa posibilidad de cambiar de trabajo y emprender un negocio diferente, más acorde a nuestros deseos de futuro… no hicimos nada... y hoy nos preguntamos como hubiera sido si hubiéramos tenido más coraje, más empuje...
¿Y ese viaje que queríamos hacer, y que por una u otra razón pospusimos esperando tiempos mejores?
Y esa vez quisimos decir: ¡Basta!...  pero ¿mantuvimos la boca cerrada por miedo a la confrontación o a cambios futuros?.
El momento fugaz, ese instante que se disuelve en el tiempo si no lo materializamos,  siempre deja un sabor metálico en la boca, un registro de vacío en el corazón que desciende lentamente hasta el vientre... y la sensación de que es poco probable que se repita en el futuro, aunque sigamos a esperarlo. ...
Con momentos fugaces no se construye una vida, no se organiza un camino, no se  establece un futuro... no se cambia nada...
Y lo curioso es que esa actitud de prudencia, de tranquilidad, de aparente reflexión, es la que nos enseñan de pequeños en la escuela; Y a medida que creces comprendes que la prudencia, la tranquilidad, es lo mejor para “adaptarse”, es lo mejor para “jugar” con las reglas que impone el sistema; Con esta actitud podrás sentirte mejor y en ocasiones podrás mejorar, o encontrar lo que estabas buscando... pero sabes que no estarás satisfecho y feliz al cien por cien, que has dejado pasar ese instante fugaz... pero conformandote pensaras, que al menos en parte, lo has conseguido…
A través de los medios y la publicidad, la sociedad te muestra quiénes son los héroes, los valientes, los temerarios, los victoriosos... y con sus reglas, su moral, te hace permanecer en la cadena de consumo de los que tienen que esperar sin romper la fila... y mientras esperas tu turno, que te den tu espacio, que llegue tu oportunidad, sentiras desde el fondo de tu conciencia una vocecita sumergida, pequeñita, te dice: ahí nunca llegare...
Esta actitud social inducida con gran inteligencia, o estupidez disimulada diría, hace que delante de todas las situaciones de violencia que sufrimos o vemos sufrir a quienes estan cerca, no reaccionamos; Ante una situación de violencia, hacemos como si no existiese, minimizamos la accion, o justificamos socialmente lo que vemos: Puede ser un hombre regañando o empujando a una mujer a la acera; o un adulto abofeteando fuertemente a un niño en la calle; o una anciana que es engañada por el verdulero cuando recibe cambio; o el guardia de seguridad que bruscamente nos indica lo que debemos hacer, cómo debemos comportarnos; o el funcionario publico que responde a nuestra solicitud sin ningún deseo, como si nos hiciera un favor; y muchas y muchas otras situaciones de violencia física, económica, psicológica, de género, moral, etc.
Hemos llegado al punto de ignorar a quien está caido en el piso del patio de nuestro condominio... o a quien pide ayuda a los gritos... o al vecino que no está bien y sabemos que apenas tiene para comer ...
¡Por dios! incluso en todas estas situaciones dejamos escapar ese momento fugaz… ¿Cómo? te preguntarás... ¡Y sí!: nos perdemos esa posibilidad de hacer algo diferente en nuestras vidas, algo que pueda construir algo para el futuro, algo que rompa los cánones de lo establecido al ofrecer una respuesta diferente: humana, solidaria! ¡Y lo peor es que te pierdes la posibilidad de ser feliz!
Cuando logras superar tus barreras inhibitorias, cuando tomas ese momento sobre la marcha y haces lo que hay que hacer, ¡te sientes como un héroe! ¡Y eres feliz! ¡Estás orgulloso de ti mismo y te sientes como un elemento activo e importante de la sociedad!
¿Ves por qué hablo de no dejar escapar esos instantes, esos momentos fugaces?... porque perdemos la oportunidad de sentirnos bien, de crecer, de sentirnos importantes en una sociedad que lo tiñe todo de gris: entre normas, libertades impuestas y falsos consensos.
La próxima vez que veas a alguien llorando en la calle, pregúntale qué está pasando. Cuando veas a alguien caído al suelo, ve a ver si está bien, si necesita ayuda; Cuando en la calle o en el autobús veas a alguien que esta siendo acosado o abusado, haz algo: no te hagas el héroe del cómic arriesgando tu vida, sino llama a otras personas para que te ayuden, llama a la policía; Sí puedes ofrecer un par de horas a la semana para ayudar a otras personas, haciéndoles compañía, ayudándoles en sus compras o como voluntario en una asociación, ¡hazlo!
Todo ello forma parte de la normalidad en una sociedad civil, solidaria y no violenta.
No dejes que estas cosas no te sucedan.
¡No dejes que ese instante fugaz se te escape! ¡Se feliz! ¡Se humano!


A che gioco gioca Dio?

In tutti gli esseri viventi c'è un piano. È un progetto che si tramanda dalla creazione dell'universo, dei pianeti, della vita sulla terra; Un disegno che suggerisce il dove, il come e il perché del ruolo svolto dai minerali, vegetali, animali e dall'uomo sulla nostra terra. Tutto si muove sviluppandosi, evolucionando, verso una direzione, verso un fine.

Posso immaginare l'uomo del futuro, come un essere energetico, un essere di luce. 

Nel presente, posso giustificare la sua azione nel mondo da più svariati punti di vista: con la sua azione, con la sua attività verso l'esterno, con il suo operato, costruisce, modifica, crea l'essere sociale del futuro; La sua opera, sia essa materiale o spirituale, modifica sempre qualcosa: È un esempio di condotta da seguire per chi gli sta intorno; È il pensiero, il dogma o la costruzione che sostiene la generazione che sta emergendo; E infine, è il suo sviluppo interno, la proiezione che lo avvicina all'infinito.

Da quanto detto fino a qui, fare del bene considerando gli altri come me stesso, avanzare nel mio lavoro e nelle mie convinzioni senza nuocere a nessuno, motivare e partecipare al lavoro comune, è valido e giustifica la mia esistenza e l'esistenza d’altri.

Tenete presente che quello che io chiamo il livellamento delle energie sociali, cioè il superamento di tutti i tipi di violenza che affliggono l'umanità, è un passo necessario da compiere, un impedimento da superare affinché l'evoluzione continui il suo cammino. Questo passo fondamentale per lo sviluppo umano però, non fa parte del ragionamento che ora stiamo conducendo. E perché? Perché a livello planetario o globale, il fattore di violenza che impedisce lo sviluppo e l'evoluzione del genere umano, in relazione allo sviluppo e all'evoluzione dell'universo, è un fattore insignificante: se l'uomo, con la sua stupidità si auto-distrugge o impedisce la sua evoluzione, non pregiudica l'evoluzione infinita e trascendente dell'universo. È un fattore di importanza solo per la specie umana; L’universo segue la sua rotta, e sicuramente altre specie che sicuramente si assomiglieranno a noi nella sua intenzionalità, emergeranno dal caos planetario, e continuerà la consecuzione del PIANO.

Tornando al nostro PIANO: posso verificare, immaginare, proiettare, con basi speculative abbastanza sicure, il periodo di tempo compreso  fra ciò che chiamiamo Big Bang, che ha dato inizio alle nostre speculazioni, e quel futuro lontano, quanto o più lontano del Big Bang dove andiamo; questo periodo mi da una certa sicurezza, un  contenimento esistenziale, un perché a tutto ciò che esiste.

È qui che mi chiedo: E prima? E dopo? Che senso ha tutto questo? Perché questo gioco di specchi che riflettono all'infinito passato e futuro alla ricerca di un significato esistenziale nel presente?

Albert Einstein disse: "Dio non gioca a dadi con l'universo"

Mi chiedo: a che gioco gioca Dio? Quale motivazione può avere ciò che è: infinito, incommensurabile, onnipotente, onnipresente, perfetto? Quale motivazione può avere affinché tutta questa macchina evolutiva continui a muoversi?


A qué juego juega Dios?
En todo lo viviente existe un plan. Es un plan que puedo distinguir desde la creación del universo, de los planetas, de la vida en la tierra; Un plan que me sugiere el dónde, el cómo  y el porqué de la función que cumplen los minerales, los vegetales, los animales, y el hombre en nuestra tierra. Todo se mueve en evolución y desarrollo hacia una dirección, hacia un fin. 

Puedo imaginar al hombre, en un futuro, como un ser energético, un ser de luz. En el presente puede justificar su acción en el mundo desde varios puntos de vista: Con su acción en el mundo, con su actividad hacia afuera, con sus obras, construye, modifica, crea el ser social del futuro; Su obra, sea que se la considere material o espiritual, siempre modifica algo: Es ejemplo de conducta a seguir para quienes lo rodean; Es pensamiento, dogma o construcción que sustenta la generación que está surgiendo; Y por último, es desarrollo interno, es la proyección que lo acerca al infinito. 

Desde todo lo dicho hasta aquí, obrar haciendo el bien considerando a los otros como a mi mismo, avanzar en mi trabajo y en mis creencias sin perjudicar a nadie, motivar y participar de la obra común, es valedero y justifica mi existencia. 

Téngase en cuenta que lo que llamo nivelación de las energías sociales, o sea, la superación de todos los tipos de violencia que azotan a la humanidad, es un paso necesario de realizar, un impedimento de superar para que la evolución continúe su camino. Este paso fundamental para el desarrollo humano, no hace parte del razonamiento que estamos llevando. ¿Y porque?: porque a nivel planetario o global, el factor de la violencia que impide el desarrollo y evolución de la raza humana, en relación al desarrollo y evolución del universo, es un factor in-trascendente: el hombre, si con su estupidez se autodestruye o impide su evolución, no afecta el devenir infinito, trascendental del universo. Es un factor de importancia solamente para la especie humana.
Volviendo a nuestro PLAN: puedo comprobar, imaginar, proyectar con bases especulativas bastante seguras, el periodo de lo que supuestamente sucedió desde el BigBang, hasta ese futuro hacia dónde nos dirigimos, tanto o más lejano que el BigBang; Este periodo me pone limites, me contiene, me da seguridad existencial, un porque a todo lo existente. 

Es aquí que me pregunto: ¿Y Antes?  Y después? Cuál es el sentido de todo esto? Para que este juego de espejos que reflejan infinitos pasados y futuros inconmensurables en la búsqueda de un sentido existencial al presente? 

Albert Einstein dijo: “Dios no juega a los dados con el universo”  

Yo me pregunto: A qué juego juega Dios? ¿Qué motivación puede tener lo que es infinito, inconmensurable, omnipotente, omnipresente,  perfecto, para que toda está máquina evolutiva siga moviéndose?

 

 IL MESSAGGIO DI SILO


“Qui si racconta come il non-senso della vita si trasformi in senso e pienezza. Qui c’è allegria, amore per il corpo, per la natura, per l’umanità e per lo spirito. Qui si rinnegano i sacrifici, il senso di colpa e le minacce dell’oltretomba. Qui ciò che è terreno non si oppone a ciò che è eterno. Qui si parla della rivelazione interiore a cui giunge chi medita in umile e attenta ricerca”.

Il Messaggio di Silo è stato lanciato nel luglio del 2002 e si compone di tre parti:
Lo Sguardo Internol’Esperienza ed il Cammino.

Un testo che sembra non avere un luogo né un’epoca d’origine, ma che risulta essere una risposta universale e attuale a quel silenzioso clamore che sta sorgendo da un’umanità assetata di Nuova Spiritualità

link del libro online:

https://flipbookpdf.net/web/site/e9f1a2a614dde5774f0d1994a984f2538a023415FBP27704223.pdf.html




Sobre el instinto de conservación, la necesidad, la urgencia, lo cotidiano, el deseo, el 

conformismo, la violencia, el intento, el propósito…

(traduzione al italiano a partire della metta del documento)

Esta reflexión trata sobre aquello que consideramos necesario para nuestra vida; y al tratar de

definirlo, nuestro entendimiento se confunde...

En una situación "básica", vital de supervivencia, se puede considerar como necesario aquello

que ayuda a mantenernos en vida, o sea: el comer y el dormir. Estas funciones básicas,

elementales, en nuestra sociedad civilizada significa: un lugar donde estar y donde dormir y

también, los recursos materiales o económicos necesarios para comprar la comida, pagar los

gastos de luz, agua, electricidad, impuestos municipales, alquiler, para movernos, y otros

gastos necesarios para mantener habitable nuestro espacio;

Podemos percibir que las necesidades básicas, aquellas que nos permiten vivir, no se limitan

solamente al comer y al dormir, si no que viviendo en sociedad nos encontramos con

exigencias más complejas; ¡y no estamos hablando de vivir en el lujo! simplemente, la lista de

los recursos mínimos necesarios para adquirir o mantener nuestras necesidades primarias

aumenta; A la exigencia mínima de los recursos requeridos para sobrevivir, podremos llamarlos

de sobrevivencia, o sea, recursos sin los cuales nuestra vida física estaría en peligro; y el

impulso por defenderla que nos empuja a obtener los recursos que necesitamos, instinto de

conservación.

Claro està que en la sociedad no todos tienen las condiciones o el acceso a los recursos

necesarios para mantener su casa y comprar comida; O por un tiempo los tienen y más

adelante esos recursos escasean; Es aquí que algunos mecanismos

socio/políticos/económicos entran en acción para ayudarnos: Casas populares, pisos de

protección oficial, albergues para sin techo , Créditos bancarios o créditos con tarjetas, Cocinas

populares, Pago de facturas y de servicios a plazo, Bolsas o cajas de alimentos distribuidas

periódicamente, etc. Lamentablemente estas ayudas son temporáneas y en algún momento se

deben saldar las deudas y si no se pueden cubrir las deudas, es posible que no se pueda

mantener las condiciones básicas de vida que garantiza la supervivencia;

Generalmente la persona no se encuentra sola y tiene una familia que vive o sufre las mismas

condiciones de vida que él está sufriendo; En está situación ya no hablamos de una simple

necesidad individual, sino de una necesidad grupal, de conjunto, de una necesidad que

requerirá mayores recursos materiales y económicos para ser satisfecha.

Delante de está situación podemos decir que la preocupación, las tensiones causadas por

cubrir las necesidades individuales o grupales, son mayores, crecen, se acentúan, generan

más preocupación y más tensión en aquellos que la sufren, y también en la sociedad que los

incluye, aunque este hecho sea subestimado en el análisis de los hechos.

Y si está situación no se resuelve en un tiempo determinado, si las necesidades básicas no

son cubiertas, esa persona o esa familia, se encontrará en la indigencia, en la calle.

En todo lo que hemos expuesto se siente que, a eso que llamamos necesidad, se le suma

algo que llamaremos urgencia.

Cuando en el dia a dia desarrollo actividades que me permiten compensar mis necesidades

básicas y las de mi grupo, digo que realizo actividades cotidianas, que llevan tiempo y

esfuerzo, que no necesariamente deben ser placenteras o dar satisfacción, pero que debo

hacerlas por necesidad. Y esto me lleva a vivir una cierta situación psicológica de equilibrio

estable que podemos llamar, aceptación, conformismo.

Pero de está necesidad de urgencia surge también un registro, una sensación como de

angustia por un futuro incierto, de desprotección, de aislamiento, de vacío existencial, de

estrés, de insatisfacción con nosotros mismos y con el mundo; Y está sensacion de

insatisfaccion comienza a perturbar los andamios del conformismo.

Sin darle mayor atención a ese registro de inconformidad que actúa subliminalmente, y

compensando naturalmente el instinto de conservación que se desata en nosotros por miedo a

perder o no alcanzar lo que necesitamos, tratamos de anticiparnos a esa falta de recursos que

imaginamos pueda suceder a futuro, y acumulamos recursos, objetos, dinero, como para

responder a las avenencias que vendrán.

Este temor que aparentemente se compensa con el acumulo de objetos y valores, genera un

sentimiento ambiguo que podemos llamar posesión; y digo que es ambiguo, porque el tener

más cosas, objetos, valores, dinero, no cambia mi ansiedad respecto al futuro, al contrario, al

temor inicial, ahora le sumo la preocupación de perder lo que he obtenido.

Ampliemos el tema della posesión: este falso reflejo de autoconservación que se articula en el

tiempo, y que se convierte en una conducta, en una actitud repetitiva, que amplía sus campos

perceptivos incluyendo en su mundo todos los objetos que lo rodean: no solo objetos

materiales como cosas o dinero, también seres animados como plantas y animales hasta llegar

al máximo de la posesión: las personas…de preferencia, las más queridas!

Y cuando el deseo de poseer amplia los márgenes de la necesidad, nuestra actividad en el

mundo, para obtenerlos, se hace más intensa, utilizamos más horas para alcanzarlos:

trabajamos más horas, utilizamos más tiempo pensando cómo obtener más recursos, creamos

redes de artilugios para controlar a ciertas personas o a un grupo, y muchas veces, excediendo

en nuestro ímpetu, en nuestro objetivo, cometemos algunas contrariedades, alguna violencia

perjudicando al otro o a otros. Y con eso la frustración aumenta, aumenta la necesidad de tener

más recursos, aumenta el temor de perderlos y esto genera más violencia… y de nuevo mas

frustración etc… un ciclo que no se corta.

Estas conductas violentas siempre han tenido en la sociedad y en la historia su contenimento,

su límite, sus reglas, sus normas; A veces a través de preceptos o leyes morales, religiosas,

éticas o jurídicas; Y todo aparentemente andaba bien, hasta que una cierta mentalidad

consumista llamada capitalismo globalizador comenzó a inculcar en la cabeza de la gente a

través de la publicidad, de los sistemas de enseñanza, y a través de la tecnología, la idea de

que cada uno de nosotros es un ser especial, independiente, tenaz, capaz de conseguir lo

imposible a través del esfuerzo, del trabajo, de la astucia; Empezó la era del hombre

globalizado, pero aislado, solo!. Empezó la era del: Yo contra el mundo, Yo me la juego solo.

Empezó la era en donde las premisas morales, políticas, religiosas, éticas, jurídicas,

comenzaron a ser relativas, por que no respondian a los hechos o a las conductas sociales en

boga: todo empezó a depender de mí, depende si me conviene o no, por que está es la nueva

verdad: YO... y la variante son los otros…

Pero como el sistema es el que impuso estas reglas, es el sistema el que gobierna, y uno,

ingenuamente, piensa que está consiguiendo obtener su lugar y su tiempo en este mundo de

discrepancias. Está conducta dividida, neurótica, genera violencia e incomprensión en uno

mismo y en los demás. Genera conductas posesivas, egoístas, individualistas, que hacen que

si el otro se opone al logro de mis objetivos, o no me ayuda en la medida que yo creo, actúo

con violencia y discriminacion.

Está conducta genera dolor y sufrimiento no solo en los demás como víctimas de mis

injusticias, sino también en mi, porque es una acción que no me deja registros positivos, no me

deja un registro de satisfacción, de plenitud, de crecimiento interno; Muy en lo profundo,

escondido atrás de mis miedos y de mis dudas, está la certeza de que lo estoy haciendo mal.

Muy en lo profundo, mi conciencia está dividida.

Y es aquí, en donde el sistema incorpora otro de sus trucos, otra de sus herramientas de

control psicosocial para reforzar sus esquemas: la disonancia cognitiva. Trato de ejemplificar

a través de la explicación que da Wikipedia (https://es.wikipedia.org/wiki/Disonancia_cognitiva):

“ El término disonancia cognitiva hace referencia a la tensión o desarmonía interna del sistema

de ideas, creencias y emociones (cogniciones) que percibe una persona que tiene al mismo

tiempo dos pensamientos que están en conflicto, o por un comportamiento que entra en

conflicto con sus creencias. Es decir, el término se refiere a la percepción de incompatibilidad

de dos cogniciones simultáneas, todo lo cual puede impactar sobre sus actitudes.”...”al

producirse esa incongruencia o disonancia de manera muy apreciable, la persona se ve

automáticamente motivada para esforzarse en generar ideas y creencias nuevas para reducir

la tensión hasta conseguir que el conjunto de sus ideas y actitudes encajen entre sí,

constituyendo una cierta coherencia interna. La manera en que se produce la reducción de la

disonancia puede tomar distintos caminos o formas. Una muy notable es un cambio de actitud

o de ideas ante la realidad”

En palabras simples: la persona siente que no tiene opciones, se siente obligada a realizar una

acción que no desea, que le crea contradicción, inconfort, sufrimiento, y en vez de oponerse a

la causa que aparentemente lo obliga a realizar esa acción yendo contra sus propias creencias

o convicciones, cambia la interpretación de los hechos, cambia el andamio ético que sostiene a

sus creencias, y elabora una respuesta que justifica su acción equivocada. Esto produce

disociación psíquica, inconfort, sufrimiento, soledad. Esto produce un falso registro de

adecuación y de integración al tejido social.

Y nos encontramos en estos ámbitos mentales individuales restrictos y psicosociales confusos,

sin percibir que todo este sufrimiento està cubriendo necesidades muy sutiles que no son del

tipo de supervivencia: está cubriendo necesidades que nos impulsan, que nos acercan a la

felicidad, a la unidad interna, a la percepción de un futuro más amplio y más profundo: estos

falsos registros de adaptación están cubriendo necesidades existenciales.

Porque si todo fuera instinto de conservación y de supervivencia, si todo fuera comer, dormir y

procrear, no estaríamos preocupados por todo esto del espíritu, los cielos, los infiernos y la vida

después de la muerte.

A este punto podemos afirmar que el hombre es un ser histórico y social que pretende la

trascendencia como acto final de la búsqueda de su conciencia.

A este acto que podríamos definir como el impulso permanente y continuativo de la conciencia

por alcanzar el conocimiento, por alcanzar el objeto que complete su búsqueda, lo llamaremos

intento;

A las propuestas de acción que se generan para alcanzar lo que busca el intento, las

llamaremos propósito.

Existen propósitos muy simples, como proponerse mejorar el aspecto físico, o empezar a

levantarse más temprano a la mañana, o mantener ordenada la casa o el ambiente de trabajo,

etc.

Hay propósitos más elaborados, más difíciles de lograr, como tratar de ser amable con la

gente, ampliar el círculo de amistades, participar de la vida comunitaria, política o social del

barrio, etc.

Hay propósitos que tienen un alcance temporal más largo, propuestas que requieren una

planificación mayor, un cuidado y una atención mayor en el tiempo, como emprender un

estudio en la universidad, abrir una actividad económica en propio, educar los hijos, etc.

Y también existen las necesidades y los propósitos que corresponden a otros ámbitos, a otros

espacios de tipo espiritual, que tienen el sabor de lo infinito, de lo eterno, de aquello que

trasciende el espacio y el tiempo cotidiano: son las necesidades/propósitos de llegar a la vejez

siendo feliz, de ayudar a mejorar la sociedad y a la construcción de un mundo mejor, de

conocer los cielos o los mundos que ocuparemos después de la muerte física, la necesidad de

hablar con Dios o con nuestros seres queridos que ya no están, el querer comprender cuál es

el sentido de nuestra existencia, el porqué de la vida, del universo en expansión, etc.

Sea que mi necesidad sea muy elemental, como comer y dormir, o necesite tener amigos o

conseguir un empleo mejor, o quiera ser un líder político o influencer en los social, que quiera el

bien de mis hijos y mi familia, o que anhele conocer lo profundo del más allá para comprender

mi vida y el universo, en todas las situaciones encontramos el binomio necesidad-propòsito.

Es muy fácil detectar la necesidad en las situaciones más rudimentarias, más elementales de

nuestra vida, ya que si no comemos o no dormimos, nos morimos; Pero es difícil imaginar o

aceptar que si no le damos un sentido a nuestra vida, también nos morimos.

En las situaciones en donde nuestra vida peligra, surge un registro, una respuesta emocional

muy fuerte que llamaremos urgencia. Está urgencia aumenta el potencial de búsqueda de la

necesidad y pone al propósito como detrás de una lupa de aumento, lo hace más grande, más

cercano;

La urgencia hace que el propósito ocupe toda nuestra atención, todo nuestro espacio visual y

de percepción. Y al aumentar la carga de la necesidad gracias a la urgencia, el propósito para

resolver o alcanzar una situación, aumenta, se hace mas grande, mas fuerte, y esto permite

concentrar y dirigir las fuerzas para alcanzar mi propósito, para alcanzar mi objetivo, para

satisfacer mi necesidad.

Cuando la situación de vida no impone riesgos para mi supervivencia, la urgencia se mitiga y la

necesidad se diluye mezclada a las necesidades/deseos que la sociedad impone como normas

de conducta: tener dinero, ser importante, ser deseado.

Estas necesidades impuestas como arquetipos en nuestra sociedad tienen una carga efímera,

porque no teniendo la energía de la urgencia, no producen un propósito que guíe, que motive.

La vida de una persona se limita a conseguir pequeños triunfos pasajeros sin mayores

posibilidades de proyección al futuro; Esto produce frustración, disconformismo, sufrimiento, y

aquí volvemos al punto en donde nuestra conciencia, para no seguir sufriendo se disgrega, se

adapta a esos esquemas o pautas que la perjudican, al extremo de justificarlos y adoptarlos

como esquemas de vida: es como el efecto de la “Síndrome de Estocolmo” en donde la

persona (víctima) se disocia de la realidad sufriente que está viviendo para empezar a vivir la

realidad ilusoria que su opresor le impone.

Estamos de acuerdo en decir que es necesario cubrir nuestras necesidades básicas, aquellas

más urgentes, realizando acciones concretas, acciones mundanas.

Pero también es importante clarificar, definir, aumentar, esas necesidades que surgen de la

ampliación de los registros de instinto de supervivencia humana: el hombre como ser social e

histórico tiene necesidades más amplias, necesidades existenciales; A estas necesidades

debemos encontrarles propósitos adecuados. A estas necesidades y a estos propósitos que

podemos llamar trascendentales, (porque parece que trascendiera los límites o conceptos

adscriptos al tiempo y al espacio) debemos sumarle, agregarle, aumentar esa sensación de

urgencia, que fija a la necesidad y clarifica el propósito.

Claro está que lo dicho hasta aquí tiene el sabor de “lo teórico” y que llegando al final de la

lectura podríamos preguntarnos: qué cosa hacer?

Aquí se abre un infinito abanico de posibilidades y ejemplificarlas nos llevaría a un campo que

está fuera del alcance de este texto.

Pero cómo algo desde nuestro interior está buscando respuestas, y partiendo de la convicción

de que todo inicia con la reflexión y meditación personal, comento algunas cosas para

considerar:

El hombre es un ser histórico y social; Su acción se desarrolla entre sus símiles (sociedad)

teniendo en cuenta las situaciones pasadas (historia) y proyectando situaciones en el futuro

(avance científico cultural).

Este movimiento hacia adelante, en lo individual y en lo social, este avance continuo que

algunos definen como el motor de la historia, es la intencionalidad humana, que podríamos

sintetizar en algunas frases:

- La necesidad de descubrir, La necesidad de modificar y La necesidad de compartir;

- Sintetizando más todavía: Conocimiento (de sí y del mundo), Construcción (de ambientes,

de realidades) y Cooperación ( dar y recibir para crecer juntos).

- El tema es: ¿YO…cómo puedo materializar en acciones concretas, mis deseos de

aprender, de hacer algo por la sociedad, de sentirme reconocido, partiendo de mi

situación actual?

Para responder a está pregunta, abriendo alas a la reflexión y a nuestra imaginación, propongo

la lectura del Capítulo XIII, “Los Principios” del libro “El Mensaje” de SILO (Editora El León

Alado - España):

“Distinta es la actitud frente a la vida y a las cosas cuando la revelación interna hiere como el rayo.

Siguiendo los pasos lentamente, meditando lo dicho y lo por decir aún, puedes convertir el sin-sentido

en sentido. No es indiferente lo que hagas con tu vida. Tu vida, sometida a leyes, está expuesta ante

posibilidades a escoger. Yo no te hablo de libertad. Te hablo de liberación, de movimiento, de proceso.

No te hablo de libertad como algo quieto, sino de liberarse paso a paso como se va liberando del

necesario camino recorrido el que se acerca a su ciudad. Entonces, “lo que se debe hacer” no depende

de una moral lejana, incomprensible y convencional, sino de leyes: leyes de vida, de luz, de evolución.

He aquí los llamados “Principios” que pueden ayudar en la búsqueda de la unidad interior.

1. Ir contra la evolución de las cosas es ir contra uno mismo.

2. Cuando fuerzas algo hacia un fin produces lo contrario.

3. No te opongas a una gran fuerza. Retrocede hasta que aquella se debilite, entonces avanza con

resolución.

4. Las cosas están bien cuando marchan en conjunto, no aisladamente.

5. Si para ti están bien el día y la noche, el verano y el invierno, has superado las contradicciones.

6. Si persigues el placer te encadenas al sufrimiento. Pero, en tanto no perjudiques tu salud, goza

sin inhibición cuando la oportunidad se presente.

7. Si persigues un fin, te encadenas. Si todo lo que haces lo realizas como si fuera un fin en sí

mismo, te liberas.

8. Harás desaparecer tus conflictos cuando los entiendas en su última raíz no cuando quieras

resolverlos.

9. Cuando perjudicas a los demás quedas encadenado. Pero si no perjudicas a otros puedes hacer

cuanto quieras con libertad.

10.Cuando tratas a los demás como quieres que te traten te liberas.

11. No importa en qué bando te hayan puesto los acontecimientos, lo que importa es que

comprendas que tú no has elegido ningún bando.

12.Los actos contradictorios o unitivos se acumulan en ti. Si repites tus actos de unidad interna ya

nada podrá detenerte.

Serás como una fuerza de la Naturaleza cuando a su paso no encuentra resistencia. Aprende a

distinguir aquello que es dificultad, problema, inconveniente, de esto que es contradicción. Si aquellos te

mueven o te incitan, ésta te inmoviliza en círculo cerrado.

Cuando encuentres una gran fuerza, alegría y bondad en tu corazón, o cuando te sientas libre y sin

contradicciones, inmediatamente agradece en tu interior. Cuando te suceda lo contrario pide con fe y

aquel agradecimiento que acumulaste volverá convertido y ampliado en beneficio.”

En lo personal me sirve:

- Cuando considero las situaciones que me producen contradicción y sufrimiento, trato de reconciliarme

conmigo mismo y con los otros.

- Ponerme en lugar del otro en las situaciones difíciles, me aclara lo que debo hacer.

- La acción concreta en el medio es el resultado final de lo que deseo realizar. Lo que me completa es

el hacer acompañado del pensar y del sentir actuando en la misma dirección. No hay realización

personal sin manifestación fáctica.

- Cuando imagino el futuro, me relaja pensar que lo que hago tiene un sentido, un objetivo que va más

allá de mi percepción objetal y temporal de las cosas, más allá de mis intereses personales, una acción

que acompaña la evolución de los hombres, de la tierra, del universo. Una acción que se perpetúa

independiente de mi.

- Las respuestas a las preguntas más íntimas, las busco en soledad, en lo profundo de mi corazón, en

silencio, sin apuros, repitiendo la pregunta en el vacío, en ese espacio infinito de mi alma, una y otra

vez, como un eco….

Y al terminar, agradezco la intuición vislumbrada.

Antòn Morà 25/05/2022

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------IT

Sull'istinto di conservazione, la necessità, l'urgenza, il quotidiano, il desiderio, il

conformismo, la violenza, l’intento, il proposito...

Questa riflessione riguarda ciò che consideriamo necessario per la nostra vita; e quando

cerchiamo di definirlo, la nostra comprensione si confonde...

In una situazione "di base", vitale, di sopravvivenza, si può considerare necessario ciò che

contribuisce a mantenerci in vita, cioè mangiare e dormire. Queste funzioni di base, elementari

nella nostra società civilizzata, significano: un posto dove stare e dormire e anche le risorse

materiali o economiche necessarie per comprare il cibo, pagare i costi dell'elettricità, dell'acqua,

delle tasse comunali, dell'affitto, del trasporto e altre spese necessarie per mantenere il nostro

standard de vita nella normalità;

Possiamo percepire che i bisogni primari, quelli che ci permettono di vivere, non si limitano solo

al mangiare e al dormire, ma che vivendo in società ci troviamo di fronte a esigenze più

complesse… e non stiamo parlando di vivere nel lusso! Semplicemente, l'elenco delle risorse

minime necessarie per acquisire o mantenere i nostri bisogni primari aumenta; la richiesta

minima delle risorse necessarie per sopravvivere, che possiamo chiamare risorse di

sopravvivenza, cioè risorse senza le quali la nostra vita fisica sarebbe in pericolo; e l'impulso a

difenderla che ci spinge a procurarci le risorse di cui abbiamo bisogno, l'istinto di

conservazione.

È chiaro che non tutti nella società hanno le condizioni o l'accesso alle risorse necessarie per

mantenere la propria casa e comprare cibo; oppure per un po' le hanno e poi quelle risorse

diventano scarse; è qui che entrano in azione alcuni meccanismi socio/politici/economici per

aiutarci: case popolari, crediti bancari o carte di credito, cucine popolari, pagamento di bollette e

servizi a ratte, sacchi o scatole di cibo distribuiti periodicamente, ecc.

Purtroppo, questi aiuti sono temporanei e a un certo punto i debiti devono essere saldati; se

non si riesce a coprire i debiti, è possibile che le condizioni di vita di base che garantiscono la

sopravvivenza non possano essere mantenute;

In genere la persona non è sola e ha una famiglia che vive o soffre le stesse condizioni di vita

che sta subendo; in questa situazione non si tratta più di un semplice bisogno individuale, ma di

un bisogno di gruppo, un bisogno che richiede maggiori risorse materiali ed economiche per

essere soddisfatto.

Di fronte a questa situazione possiamo dire che la preoccupazione, le tensioni causate dalla

copertura dei bisogni individuali o di gruppo, sono maggiori, crescono, si accentuano, generano

più preoccupazione e più tensione in coloro che soffrono, e anche nella società che li

comprende, anche se questo fatto viene sottovalutato nell'analisi dei fatti.

E se questa situazione non viene risolta in un determinato periodo di tempo, se i bisogni di base

non vengono soddisfatti, quella persona o quella famiglia si troverà in condizioni di indigenza,

per strada.

In tutto ciò, si ritiene che, oltre a quello che chiamiamo bisogno, ci sia qualcosa che

chiameremo urgenza.

Quando tutti giorni svolgo attività che mi permettono di compensare i bisogni fondamentali miei

e quelli del mio gruppo, dico che svolgo attività quotidiane che richiedono tempo e fatica, che

non devono necessariamente essere piacevoli o dare soddisfazione, ma che devo fare per

necessità. E questo mi porta a vivere in una certa situazione psicologica di equilibrio stabile che

possiamo chiamare, per accettazione, conformismo.

Ma da questo bisogno di urgenza, nasce anche un registro, una sensazione di angoscia per un

futuro incerto, di mancanza di protezione, di isolamento, di vuoto esistenziale, di stress, di

insicurezza con noi stessi e con il mondo; e questa sensazione di insoddisfazione comincia a

disturbare l'impalcatura del conformismo.

Senza prestare molta attenzione a questo registro di anticonformismo che agisce in modo

subliminale, e compensando naturalmente l'istinto di conservazione che si scatena in noi per

paura di perdere o non ottenere ciò di cui abbiamo bisogno, cerchiamo di anticipare la

mancanza di risorse che immaginiamo possa verificarsi in futuro, e accumuliamo risorse,

oggetti, denaro, come per rispondere alle contingenze che si presenteranno.

Questa paura, apparentemente compensata dall'accumulo di oggetti e valori, genera un

sentimento ambiguo che possiamo chiamare possesso; e dico che è ambiguo, perché avere

più cose, oggetti, valori, denaro, non cambia la mia ansia per il futuro, anzi, alla paura iniziale,

ora aggiungo la preoccupazione di perdere ciò che ho ottenuto.

Ampliamo il tema del possesso: questo falso riflesso di autoconservazione che si articola nel

tempo e che diventa un comportamento, un atteggiamento ripetitivo, che espande i suoi campi

percettivi fino a includere nel suo mondo tutti gli oggetti che lo circondano: non solo oggetti

materiali come cose o denaro, ma anche esseri animati come le piante e gli animali fino a

raggiungere il massimo del possesso: le persone... preferibilmente quelle più amate!

E quando il desiderio di possedere allarga i margini del bisogno, la nostra attività nel mondo,

per ottenerli, diventa più intensa, impieghiamo più ore per raggiungerli: lavoriamo più ore,

impieghiamo più tempo a pensare come ottenere più risorse, creiamo reti di relazioni per

controllare certa persona o un gruppo, e molte volte, superando il nostro slancio, il nostro

obiettivo, commettiamo qualche strappo, qualche violenza che danneggia l'altro o gli altri. E

con questo, la frustrazione aumenta, il bisogno di maggiori risorse aumenta, la paura di perderle

aumenta e questo genera più violenza... e di nuovo più frustrazione ecc... un ciclo che non

finisce mai.

Questi comportamenti violenti hanno sempre avuto nella società e nella storia il loro

contenimento, i loro limiti, le loro regole, le loro norme; a volte attraverso precetti o leggi morali,

religiose, etiche o giuridiche; E tutto andava apparentemente bene, fino a quando una certa

mentalità consumistica, chiamata capitalismo globalizzante, ha cominciato a inculcare nella

testa delle persone, attraverso la pubblicità, i sistemi educativi e la tecnologia, l'idea che ognuno

di noi è un essere speciale, indipendente, tenace, capace di raggiungere l'impossibile attraverso

lo sforzo, il lavoro, l'astuzia; è iniziata l'era dell'uomo globalizzato, ma…isolato, solo! . L'era di:

Io contro il mondo, Io c'è la faccio da solo!

È iniziata l'epoca in cui le premesse morali, politiche, religiose, etiche, giuridiche hanno

cominciato ad essere relative, perché non rispondevano ai fatti o ai comportamenti sociali in

voga: perciò, tutto ha cominciato a dipendere da noi, a dipendere dal fatto che mi convenga o

meno, perché questa è la nuova regola: IO... e la variante sono gli altri…

Ma poiché è il sistema che ha imposto queste regole, è il sistema che comanda, ma noi

crediamo ingenuamente di riuscire a trovare il proprio posto e il proprio tempo in questo mondo

di discrepanze. E questo comportamento diviso e nevrotico genera violenza e incomprensione

in se stessi e negli altri. Genera un comportamento possessivo, egoista e individualista, per cui

se l'altra persona si oppone al raggiungimento dei miei obiettivi o non mi aiuta nella misura in

cui credo, agisco con violenza e discriminazione.

Questo comportamento genera dolore e sofferenza non solo negli altri, vittime delle mie

ingiustizie, ma anche in me, perché è un'azione che non mi lascia tracce positive, non mi lascia

tracce di soddisfazione, di completezza, di crescita interiore; in fondo, nascosta dietro le mie

paure e i miei dubbi, c'è la certezza che sto sbagliando. Nel profondo, la mia coscienza è divisa.

Ed è qui che il sistema incorpora un altro dei suoi trucchi, un altro dei suoi strumenti di controllo

psicosociale per rafforzare i suoi schemi: la dissonanza cognitiva. Cerco di esemplificare

attraverso la spiegazione fornita da Wikipedia

(https://es.wikipedia.org/wiki/Disonancia_cognitiva) :

"Il termine dissonanza cognitiva si riferisce alla tensione interna o alla disarmonia del sistema

di idee, credenze ed emozioni (cognizioni) percepita da una persona che ha due pensieri

contrastanti allo stesso tempo, o da un comportamento che è in conflitto con le sue credenze".

Cioè, il termine si riferisce all'incompatibilità percepita di due cognizioni simultanee, che

possono avere un impatto sui loro atteggiamenti"... "Poiché questa incongruenza o dissonanza

si verifica in modo molto evidente, la persona è automaticamente motivata a sforzarsi di

generare nuove idee e credenze per ridurre la tensione fino a quando l'insieme delle sue idee e

atteggiamenti si adattano insieme, costituendo una certa coerenza interna. Il modo in cui

avviene la riduzione della dissonanza può prendere diverse strade o forme. Uno di questi è il

cambiamento di atteggiamento o di idee nei confronti della realtà".

In parole povere: la persona sente di non avere opzioni, si sente obbligata a compiere un'azione

che non vuole, che crea contraddizione, disagio, sofferenza, e invece di opporsi alla causa che

apparentemente la costringe a compiere quell'azione contro le proprie credenze o convinzioni,

cambia l'interpretazione dei fatti, modifica l'impalcatura etica che sostiene le sue credenze, ed

elabora una risposta che giustifica la sua azione sbagliata. Questo produce dissociazione

psichica, disagio, sofferenza, solitudine. Questo produce un falso senso di adeguatezza e di

integrazione nel tessuto sociale.

E così ci troviamo in questo stato mentale individuale ristretto e psicosociali confuso, senza

percepire che tutta questa sofferenza sta coprendo bisogni molto sottili che non sono del tipo di

sopravvivenza: sta coprendo bisogni che spingono, che avvicinano alla felicità, all'unità

interiore, alla percezione di un futuro più ampio e profondo: questi falsi registri di adattamento al

sistema, stanno coprendo bisogni esistenziali.

Perché se tutto fosse istinto di autoconservazione e di sopravvivenza, se tutto fosse mangiare,

dormire e procreare, non ci preoccuperemo di tutte queste cose sullo spirito, i cieli, gli inferni e

l'aldilà.

A questo punto possiamo affermare che l'uomo è un essere storico e sociale che cerca la

trascendenza come l’oggetto finale dell'atto di ricerca della sua coscienza.

Chiameremo intento questo atto, che potremmo definire come l'impulso permanente e continuo

della coscienza a raggiungere la conoscenza, a raggiungere l'oggetto che completa la sua

ricerca;

La proposta di azione che si genera per raggiungere ciò che l'intento cerca, possiamo chiamarle

proposito.

Ci sono propositi molto semplici, come quello di migliorare il proprio aspetto fisico, o di iniziare

ad alzarsi presto al mattino, o di tenere in ordine la casa o l'ambiente di lavoro, ecc.

Ci sono propositi più elaborati, più difficili da realizzare, come cercare di essere gentili con le

persone, allargare la propria cerchia di amici, partecipare alla vita comunitaria, politica o sociale

del quartiere, e così via.

Ci sono propositi che hanno una portata temporale più lunga, proposte che richiedono una

maggiore pianificazione, una maggiore cura e attenzione nel tempo, come intraprendere uno

studio all'università, avviare una propria attività, educare i propri figli, ecc.

E ci sono anche esigenze e propositi che corrispondono ad altre sfere, ad altri spazi di natura

più spirituale, che hanno il sapore dell'infinito, dell'eterno, di ciò che trascende lo spazio e il

tempo quotidiano: Si tratta di necessità/propositi di arrivare alla vecchiaia felici, di contribuire a

migliorare la società e a costruire un mondo migliore, di conoscere i cieli o i mondi che

occuperemo dopo la morte fisica, del bisogno di parlare con Dio o con i nostri cari che non ci

sono più, del desiderio di capire il senso della nostra esistenza, la ragione della vita,

dell'universo in espansione, ecc.

Che il mio bisogno sia molto elementare, come mangiare e dormire, o che abbia bisogno di

avere amici o di trovare un lavoro migliore, o che voglia essere un leader politico o un influencer

sociale, o che voglia il bene dei miei figli e della mia famiglia, o che desideri conoscere le

profondità dell'aldilà per comprendere la mia vita e l'universo, in tutte le situazioni troviamo il

binomio necessità-proposito.

È molto facile individuare la necessità, i nostri bisogni, nelle situazioni più rudimentali ed

elementari della nostra vita, perché se non mangiamo o dormiamo, moriamo; ma è difficile

immaginare o accettare che se non diamo un senso alla nostra vita, moriamo anche noi; E qua

si stende un manto d’oblio.

Nelle situazioni in cui la nostra vita è in pericolo, sorge un registro, una risposta emotiva molto

forte che chiameremo urgenza. Questa urgenza aumenta il potenziale di ricerca della

necessità e pone il proposito come dietro una lente di ingrandimento: lo rende più grande, più

vicino.

L'urgenza fa sì che il proposito occupi tutta la nostra attenzione, tutto il nostro spazio visivo e

percettivo. E aumentando il peso della necessità grazie all'urgenza, il proposito di risolvere o

raggiungere una situazione aumenta, diventa più grande, più forte, e questo permette di

concentrare e dirigere le forze per raggiungere il mio proposito, per raggiungere il mio obiettivo,

per soddisfare la mia necessità.

Quando la situazione di vita non impone rischi per la mia sopravvivenza, l'urgenza si attenua e

la necessità si diluisce mescolandosi alle necessità/propositi che la società impone come

modello comportamentale: avere soldi, essere importante, essere desiderato.

Queste necessità imposte come archetipo nella nostra società hanno una carica effimera,

perché non avendo l'energia dell'urgenza, non producono un proposito che guida, che motiva.

La vita di una persona si limita a ottenere piccoli trionfi passeggeri senza maggiori possibilità di

proiezione nel futuro; questo produce frustrazione, anticonformismo, sofferenza;

E qui torniamo al punto in cui la nostra coscienza, per non continuare a soffrire, si disgrega, si

adatta a quegli schemi o modelli che la danneggiano, fino all'estremo di giustificarli e adottarli

come modello di vita: È come l'effetto della "Sindrome di Stoccolma", in cui la persona (vittima)

si dissocia dalla realtà sofferente che sta vivendo per iniziare a vivere la realtà illusoria che il

suo oppressore le impone.

Siamo d'accordo nel dire che è necessario coprire i nostri bisogni primari, quelli più urgenti, con

azioni che portino ad azioni concrete e terrene.

Ma è anche importante evidenziare, definire, incrementare, quella necessità che nasce

dall'espansione della percezione dell'istinto di sopravvivenza umano: l'uomo come essere

sociale e storico ha bisogni più ampi, necessità esistenziali; a queste necessità dobbiamo

trovare propositi adeguati. A queste necessità e a questi propositi che possiamo definire

trascendentali (perché sembrano trascendere i limiti o i concetti attribuiti al tempo e allo spazio)

dobbiamo aggiungere, aumentare, quel senso di urgenza che fissa la necessità e chiarisce il

proposito.

È chiaro che quanto detto finora ha il sapore del "teorico" e che alla fine della lettura potremmo

chiederci: è ora, cosa fare?

Qui si apre una gamma infinita di possibilità, la cui esemplificazione ci porterebbe in un campo

che esula dagli scopi di questo testo.

Ma poiché qualcosa dentro di noi sta cercando delle risposte, e partendo dalla convinzione che

tutto inizia con la riflessione e la meditazione personale, commento alcune cose da considerare:

L'uomo è un essere storico e sociale; la sua azione si sviluppa tra i suoi simili (società)

tenendo conto delle situazioni passate (storia) e proiettando le situazioni nel futuro (progresso

scientifico culturale).

Questo movimento in avanti, individuale e sociale, questo continuo avanzamento che alcuni

definiscono il motore della storia, è l'intenzionalità umana, che potremmo riassumere in poche

frasi:

- Il bisogno di scoprire, il bisogno di modificare e il bisogno di condividere;

- Per riassumere ancora meglio: Conoscenza (di sé e del mondo), Costruzione (di ambienti, di

realtà) e Cooperazione (dare e ricevere per crescere insieme).

Come posso concretizzare in azioni concrete il mio desiderio di imparare, di fare qualcosa per

la società, di sentirmi riconosciuto, partendo dalla mia situazione attuale?

Per rispondere a questa domanda, aprendo ali alla nostra riflessione e alla nostra

immaginazione, propongo la lettura del capitolo XIII, "I principi" del libro "Il messaggio" di SILO

(Editora Multimage - Italia):

“Diverso è l'atteggiamento nei confronti della vita e delle cose quando la rivelazione interna

ferisce come il fulmine.

Seguendo i passi lentamente, meditando su quanto è stato detto e su quanto c'è ancora da

dire, puoi convertire il non-senso in senso. Non è indifferente ciò che fai della tua vita. La tua

vita, sottomessa a leggi, si trova esposta a possibilità che puoi scegliere. Non ti parlo di

libertà. Ti parlo di liberazione, di movimento, di processo. Non ti parlo di libertà come di

qualcosa di quieto, ma di liberarsi passo a passo, come si libera del cammino che ha dovuto

percorrere colui che si avvicina alla sua città. Allora, "ciò che si deve fare" non dipende da una

morale lontana, incomprensibile e convenzionale, ma da leggi: leggi di vita, di luce, di

evoluzione.

Ecco i cosiddetti "Principi", che possono essere d’aiuto nella ricerca dell'unità interiore.

1. Andare contro l'evoluzione delle cose è andare contro se stessi.

2. Quando forzi qualcosa verso un fine, produci il contrario.

3. Non opporti a una grande forza. Retrocedi finché essa non si indebolisca; allora, avanza

con risolutezza.

4. Le cose stanno bene quando vanno insieme, non isolatamente.

5. Se per te stanno bene il giorno e la notte, l'estate e l'inverno, hai superato le

contraddizioni.

6. Se persegui il piacere, ti incateni alla sofferenza. Ma se non danneggi la tua salute, godi

senza inibizioni quando se ne presenta l'occasione.

7. Se persegui un fine, ti incateni. Se tutto ciò che fai, lo realizzi come se fosse un fine in se

stesso, ti liberi.

8. Farai sparire i tuoi conflitti quando li avrai compresi nella loro radice ultima, non quando li

vorrai risolvere.

9. Quando danneggi gli altri, rimani incatenato. Ma se non danneggi nessuno puoi fare

quello che vuoi con libertà.

10. Quando tratti gli altri come vuoi essere trattato, ti liberi.

11. Non importa da che parte ti abbiano messo gli eventi, ciò che importa è che tu

comprenda di non aver scelto nessuna parte.

12. Gli atti contraddittori o unitivi si accumulano in te. Se ripeti i tuoi atti di unità interna,

niente ti potrà più fermare.

Sarai come una forza della Natura, che non incontra resistenza al suo passaggio. Impara a

distinguere tra ciò che è difficoltà, problema, inconveniente, e ciò che è contraddizione. Se i

primi ti muovono o ti stimolano, quest'ultima ti immobilizza dentro un circolo chiuso.

Quando incontri una grande forza, allegria e bontà nel tuo cuore, o quando ti senti libero e

senza contraddizioni, ringrazia immediatamente dentro di te. Se ti succede il contrario, chiedi

con fede, e quel ringraziamento che hai accumulato tornerà trasformato e ampliato in

beneficio.”

Personalmente, mi è utile:

- Quando considero le situazioni che mi causano contraddizione e sofferenza, cerco di riconciliarmi con

me stesso e con gli altri.

- Mettermi al posto dell'altro in situazioni difficili mi fa capire cosa devo fare.

- L'azione concreta nel mondo è il prodotto finale di ciò che voglio ottenere. Ciò che mi completa è: fare,

pensare e sentire nella stessa direzione. Non c'è autorealizzazione che non si manifeste nei fatti.

- Quando immagino il futuro, mi rilassa pensare che quello che faccio ha un senso, un obiettivo che va

oltre la mia percezione oggettuale e temporale delle cose, oltre i miei interessi personali, un'azione che

accompagna l'evoluzione degli uomini, della terra, dell'universo. Un'azione che si perpetua

indipendentemente da me.

- Le risposte alle domande più intime le cerco in solitudine, nel profondo del mio cuore, in silenzio, senza

fretta, ripetendo la domanda nel vuoto, nello spazio infinito della mia anima, come un'eco...

E quando finisco, sono grato per l'intuizione intravista.

Antòn Morà 25/05/2022